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Channel: Claudio Bonomi – bargiornale
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Entering Red, cine-viaggio dentro il rosso Campari

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Ritornano i Campari Red Diaries, edizione 2019. Protagonista Entering Red, cortometraggio enigmatico interpretato dall’attrice di fama internazionale Ana de Armas (Blade Runner 2049) e dall’attore italiano Lorenzo Richelmy e diretto da Matteo Garrone, due volte vincitore del Grand Prix al Festival di Cannes e quest’anno designato a rappresentare l’Italia nella corsa all’Oscar con Dogman. Il nuovo cortometraggio sarà il perno di una più ampia campagna di comunicazione integrata che sarà implementata nel corso del 2019: il film non solo racconta una vicenda intrigante, ma è anche un’ode al celebre Negroni, cocktail simbolo di Campari, che proprio l’anno prossimo festeggerà il suo centenario. Anche quest’anno, tante le sorprese: il cast prevede infatti i cameo di una crew di influencer internazionali e dei “Red Hands” di Campari, sei dei migliori bartender del mondo. A rappresentare l’Italia Tommaso Cecca, bar manager del Camparino in Galleria. Nel cortometraggio è prevista anche la partecipazione di un altro giovane attore italiano, Cristiano Caccamo che accompagnerà Campari nella comunicazione del progetto Red Diaries 2019 in Italia. Bob Kunze-Concewitz, chief executive officer di Campari Group, ha così commentato l’iniziativa: «I nostri cocktail non sono semplici drink: ciascuno racconta una storia. Quest’anno vogliamo celebrare il Negroni. Nel 2019, anno del suo centenario, Campari Red Diaries farà vivere il cocktail sullo schermo accompagnando gli spettatori in un viaggio dentro il rosso. Il celebre drink, di cui Campari è un elemento fondamentale, ha una grande tradizione e sarà una sorpresa vederlo prendere vita grazie allo spiccato talento di Ana de Armas e Matteo Garrone,ma anche dei bartender e dei sostenitori di Campari di tutto il mondo». La première e il red-carpet di Entering Red si terranno nella città natale di Campari, Milano, il 5 febbraio 2019, in concomitanza con il lancio digitale in tutto il mondo. Il cortometraggio sarà disponibile sul canale ufficiale YouTube di Campari.  C.B.

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Terrazza Molinari “veste” una sea lounge con vista

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Al sesto piano del boutique hotel The First Roma in via del Vantaggio, la terrazza Acquaroof, costola dello stellato Acquolina, diventa Terrazza Molinari. Simbolo dell’imprenditoria liquoristica laziale, famoso in tutto il mondo per la sua sambuca, Molinari era alla ricerca di uno spazio nel centro storico della capitale, che potesse considerare come casa propria e ha scelto di puntare su Acquaroof e sulla barmaid Valeria Bassetti. Dal canto suo Valeria ha accettato di diventarne bar manager per una promessa fatta ad Alessandro Narducci, il giovane chef di Acquolina tragicamente scomparso in un incidente stradale a soli 29 anni lo scorso giugno. E mentre Angelo Troiani, mentore di Narducci, ha ripreso le redini delle cucine di Acquolina e Acquaroof, a Valeria Bassetti veniva affidato il compito di creare una carta dei drink con un tocco marino. Acquaroof è stato infatti pensato come una Sea Lounge, dove si possono degustare le gocce, ovvero piatti che attingono alla tradizione e che puntano sulla materia prima, prevalentemente di mare, esaltata da minime manipolazioni. E poi c’è l’abbinamento con i drink di Valeria e del suo team, con tanto di contaminazione estrema nei #Foodrink, in cui l’elemento food è letteralmente immerso nel drink o l’elemento alcolico diventa alimento, magari sotto forma di una spuma su un’ostrica.

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    Il risultato è una carta che si presenta come un suggestivo percorso per mari, tra miti e leggende, in cui i protagonisti principali sono i prodotti della gamma Molinari reinterpretati in chiave inedita e originale (non solo sambuca, ma molti distillati in distribuzione come il gin The Botanist, i Cognac della linea Rémy Martin, i whisky scozzesi Bruichladdich e così via). Con un occhio all’ecosostenibilità, che passa dall’utilizzo di cannucce compostabili e dal sostegno di un’associazione che si occupa della pulizia della plastica dai mari, grazie al ricavato delle vendite del drink “Aka message in a bottle”. A.T.

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Milan Coffee Festival, tante novità e sfide

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Dopo Londra, Amsterdam, New York e Los Angeles, il Coffee Festival arriva a Milano, dal 30 novembre al 2 dicembre. Le sue attività hanno nel caffè artigianale un comune denominatore: nella prima giornata si rivolgono all’operatore dell’horeca, nelle due successive è atteso il pubblico di coffee lover e di chi vuole conoscere più a fondo il settore, grazie anche alla presenza di più di 60 espositori. Durante le tre giornate si svolge la versione italiana del Coffee Masters, in cui otto baristi selezionati prima dell’evento si confrontano in sette discipline con gare a eliminazione diretta.

Quanto manca?

Milano Coffee Festival

Spazio Pelota
Via Palermo 10 – Milano
Trade Day per gli operatori del settore horeca
Venerdi 30 Novembre, dalle 13,00 alle 21,00,

Aperitivo Party dalle 17.00

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    Concorrono ai Coffee Masters: Carlos Alvarado di Checchi Downtown – Brescia, Ravane Conrado di ChicEasy – Milano, Elisabetta Paviglianiti di Cofficina Coffee Roasters – Rozzano (Mi), Gian Andrea Sala di Bugan Coffee Lab – Bergamo, Ilaria Nocentini di Espresso Academy e Caffè Piansa – Firenze, Matteo Pavoni di Peacocks Coffee – Monza, Simone Cattani docente della Coffee Training Academy – Verona e Simone Zaccheddu di Ditta Artigianale – Firenze. In giuria numerosi esperti tra cui Andrej Godina e Francesco Sanapo. Il vincitore si aggiudica il titolo di Campione CMx – Italia, un premio di mille euro e la qualificazione alla finale mondiale del prossimo anno a Londra. Sono poi numerose le attività nelle varie aree espositive. The Lab, powered by Lavazza offre un programma articolato di workshop, conferenze e dibattiti, mentre al La Marzocco’s True Artisan Café si alternano i protagonisti delle migliori caffetterie a proporre drink e cocktail d’autore con i caffè di numerose microroastery. Latte Art Live è l’area dedicata ai decori sulla crema di latte con una serie di dimostrazioni e competizioni tra i maggiori esperti a livello mondiale. Chi desidera gustare un espresso si può rivolgere al Faema Espresso Bar, mentre per gli amanti del brewing c’è il CMx Brew Bar, con preparazioni realizzate con chemex, V60, aeropress e french press. Gli esperti di Brita sono a disposizione per dimostrare l’importanza dell’acqua per una estrazione corretta; infine al Vegan Coffee Bar di Alpro si possono gustare cappuccini, macchiati, affogati e cocktail a base di latte vegetale. Il 10% del ricavato dalla vendita dei biglietti verrà devoluto al progetto Waterfall, in favore della fornitura di acqua potabile e del mantenimento delle corrette condizioni igieniche presso le comunità dei produttori di caffè in via di sviluppo in tutto il mondo.
    I biglietti si possono acquistare online www.milancoffeefestival.com N.R.

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La pasta senza uguali di Scarello e Servida

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Nel menu delle feste i tortellini in brodo non possono mancare. Però, Natale è anche tempo di sorprese, in tavola come sotto l’albero. Così, per dare ai ristoratori qualche idea in più su come usare in maniera innovativa le referenze della linea di pasta fresca surgelata Divine Creazioni, Surgital ha chiesto allo chef pluristellato Emanuele Scarello e al pastry chef Alessandro Servida di creare nove piatti per le prossime feste, raccolte nel ricettario Christmas Carols.

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    Alcune delle ricette, inoltre, sono state protagoniste dell’ultima tappa del MasterShow La Pasta senza uguali, che si è svolta a metà novembre a Verona, dove gli invitati hanno potuto assistere dal vivo alla preparazione di un vero e proprio menu delle festeHa dato il via allo showcooking Emanuele Scarello, con gli Strichetti aglio, olio in polvere e peperoncino: una raffinata variazione sulla semplicissima ricetta della tradizione. Tradizione che, sottolinea Scarello, è sempre stata il punto di partenza della sua ispirazione. Lo chef friulano ha poi cucinato Il mio Friuli: raviolotti di polenta e Montasio. La pasta ripiena è condita con la morchia, una salsa friulana della tradizione a base di farina di mais integrale, semi di girasole e burro, ed impreziosita dal tartufo nero. Infine, Scarello ha presentato Un Tortellino alla moda di Bologna quasi in brodo, servito al cucchiaio: la rivisitazione di un super classico. Alessandro Servida ha dimostrato come alcune specialità della linea Le Divine Creazioni possano trovare impiego anche in proposte dolci. I Bauletti con ricotta di pecora e pistacchi di Sicilia sono stati interpretati in versione dessert abbinandoli a crema cheesecake a base di ricotta, cubetti di gelatina montata al mandarino e salsa al mandarino. I Quadrelli di cacao con scorza di arancia sono invece stati serviti con una crema leggera al cioccolato, crumble al cacao e salsa d’arancio. La linea Divine Creazioni è caratterizzata da pasta ripiena surgelata, preparata con ingredienti D.O.P. e combinata in abbinamenti ricercati e racchiusi in una sfoglia realizzata con una maggior quantità di uova rispetto alle paste ripiene classiche. Sempre diversa nella forma da pezzo a pezzo, è ideale per conferire ai piatti un carattere di artigianalità. F.F.
  • La ricetta di Emanuele Scarello

    Un tortellino quasi in brodo

    Ingredienti
    (per 6 persone)
    18 Tortellini alla moda di Bologna
    Divine Creazioni di Surgital

    Gel di aceto di sambuco:
    100 g aceto di sambuco
    1,2 g agar agar
3 g gelatina vegetale
    80 g zucchero
    12 g sale
    60 g acqua

    Carote agrodolci:
    6 carotine
    100 g aceto bianco
    100 g acqua
    100 g zucchero
    10 g sale
    germoglio di prezzemolo

    Procedimento
    Per il gel scaldare l’aceto di sambuco e quindi unire le polveri, portare ad ebollizione. Far gelificare per una notte quindi con l’aiuto di un minipimer ottenere una consistenza liscia. Conservare in frigorifero.
    Per le carote sciogliere lo zucchero in acqua calda, unire l’aceto e il sale. Affettare finemente le carote per il senso della lunghezza, scottarle velocemente in acqua salata, quindi tuffarle nella soluzione agrodolce e lasciarle raffreddare.
    Cuocere i Tortellini in abbondante acqua salata, scolarli e asciugarli su un panno in cotone, adagiarne tre su un cucchiaio e completare con una punta di gel di sambuco, una lamella di carota e alcuni germogli di prezzemolo

  • La ricetta di Alessandro Servida

    Quadrelli di cacao con scorza di arancia
    con crema leggera e salsa d’arancio

    Ingredienti
    (Dosi per un piatto)
    3 Quadrelli di cacao con scorza d’arancia
    Divine Creazioni di Surgital

    Crema leggera al cioccolato:
    300 g panna fresca
    25 g zucchero invertito
    300 g cioccolato fondente 55%
    325 g panna fresca

    Crumble al cacao:
    150 g burro freddo a cubetti
    150 g zucchero di canna
    115 g farina
    25 g cacao
    150 g polvere di mandorle
    2 g sale

    Salsa d’arancio:
    125 g gelatina neutra
    75 g succo d’arancia

    Procedimento
    Crema leggera al cioccolato:
    Scaldare la prima parte di panna con lo zucchero invertito. Versare sul cioccolato e mixare con un mixer a immersione. Inserire la seconda parte di panna fredda e mixare di nuovo, far stabilizzare in frigorifero sei ore prima di utilizzare.

    Crumble al cacao:
    Mettere tutti gli ingredienti in planetaria munita di foglia e impastare. Quando l’impasto risulta omogeneo, passarlo al setaccio per creare delle briciole, mettere in freezer per due ore. Cuocere a 165 °C per 20 minuti circa.

    Salsa d’arancio:
    Unire i due ingredienti e mixare.
    Cuocere i Quadrelli di cacao in acqua leggermente salata. A parte montare in planetaria la crema leggera al cioccolato e metterla in un sac à poche. Inserire al centro del piatto della salsa d’arancio e sovrapporre tre quadrelli al cacao. Con il sac à poche, creare ciuffi con la crema leggera al cioccolato.
    Mettere un po’ di salsa sopra i Quadrelli di cacao e qualche briciola di crumble.
    Ultimare il piatto con una spolverata di zest d’arancia.

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La family di Wild Turkey Campus riunita per la Festa del Ringraziamento

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Thanksgiving Day: negli Stati Uniti, un giorno dedicato allo stare insieme, in famiglia, alla condivisione e alle tradizioni. E, dunque, l’occasione perfetta per riunire ancora una volta la Wild Turkey Family, team di 17 bartender provenienti da tutta Italia uniti dalla passione per il bourbon che lo scorso maggio avevano preso parte al primo Wild Turkey Campus (3 giorni intensi tra masterclass, tiro al bersaglio e cocktail lab): nuova esperienza firmata Campari Academy che unisce la formazione professionale alle emozioni di una vera avventura. Momento clou dell’evento svoltosi lo scorso 22 novembre all’Assembly di Milano, spazio polifunzionale dedicato per l’occasione alla storia del brand Wild Turkey al suo mondo, la cena del Ringraziamento in puro stile stelle e strisce realizzata, con l’aiuto della Wild Turkey Family al completo, dalla chef americana Laurel Evans. Il main course, ovviamente, non poteva che essere il classico tacchino ripieno con pane e castagne e contorno di cavoletti di Bruxelles con sciroppo d’acero e bacon e di smashed potatoes. La drink list ha previsto, oltre a punch, ginger beer e birra artigianale, una serie di cocktail iconici a base di Wild Turkey come Old Fashioned, Boulevardier, Manhattan, Wild&Ginger e l’evergreen Kentucky Mule. Per l’occasione, erano presenti diversi special guest. A partire da Tristan Stephenson, una delle voci più influenti del bartending contemporaneo, bartender professionista e anche scrittore. Tra l’altro, studioso e autore della gettonata collezione “The Curious Bartender”. Presenti anche Andrea Dracos, già vincitore nel 2016 della 4° edizione della Campari Barman Competition, e Luca Casale, già semifinalista della competizione The Maestro Challenge per due anni consecutivi, semifinalista della competizione di Appleton Estate nel 2016, e semifinalista della Campari Barman Competition nel 2017. Entrambi, insieme ad Aldo Bruno Russo, responsabile Campari Academy, sono stati anche i grandi cerimonieri di una serata che si è protratta nel dopo cena con la degustazione dei distillati della “famiglia” Wild Turkey e di nuove referenze non ancora presenti in Italia. Dulcis in fundo, l’entrata in scena del corpo di ballo delle WT Cheerleaders che a ritmo di musica ha guidato l’estrazione di un viaggio nel Kentucky a visitare la distilleria dove nasce il famoso Bourbon whiskey. Nella foto, Eddie Russel, master distiller di Wild Turkey, con Wild Turkey Family italiana.

 

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Elias Läderach è il nuovo re del cioccolato

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Dalla finale di Parigi della massima competizione del cioccolato, gli World Chocolate Masters organizzati da Cacao Barry, è uscito il nome dello svizzero Elias Läderach. È lui il vincitore dell’edizione 2018 (31 ottobre – 2 novembre): ha primeggiato fra i 20 colleghi giunti da tutto il mondo per contendersi il titolo di Campione del mondo, lo stesso conquistato nel 2013 dal nostro Davide Comaschi. Läderach ha 29 anni ed è pastry chef della azienda di famiglia specializzata nel settore della produzione di cioccolato di qualità, la Confiseur Läderach. Sul podio dei World Chocolate Masters 2018, accanto a Läderach (vincitore con 552 punti) sono saliti Yoann Laval (529 punti), ventiseienne chef chocolatier francese della cioccolateria Delices Des Sens di Lione, e Florent Cheveau (517 punti), trentaseienne nato in Francia ma operativo negli Stati Uniti, executive pastry chef al MGM Grand Hotel & Casino di Las Vegas.

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    Nel corso dei tre giorni della finale, svoltasi nell’ambito del Salon du Chocolat, i maestri cioccolatieri hanno affrontato diverse prove. Il primo giorno hanno dato sfoggio di creatività e tecnica con una scultura artistica e una “travel cake” al cioccolato. Il secondo giorno è stata la volta di uno snack, di una futuristica barretta di cioccolato (il tema filo conduttore era proprio il consumo del futuro) e della pralina. Il terzo giorno, i 10 finalisti che hanno superato le prime prove si sono sbizzarriti con pasticceria fresca e con la scultura artistica sul tema “City of Tomorrow”. «Un dipinto in 3D che raffigura una sofisticata interazione tra il movimento delle foglie della natura e il silenzio dell’essere interiore della donna. Riflette a pieno la mia passione e il mio amore per il cioccolato», ha detto Läderach raccontando la sua opera.La giuria, presieduta da Frank Haasnoot, Cedric Grolet e Naomi Mizunoe composta da noti professionisti del mondo della pasticceria, inclusa la pastry chef italiana Loretta Fanella, lo aveva già gratificato con le vittorie “di tappa” per la prima scultura, lo snack, le praline e il chocolate design. Allo svizzero è andato anche il premio della stampa, assegnato da 40 giornalisti. Particolarmente apprezzata la sua pralina Urban leaf, con polpa di mandarino e citronella, e una ganache Cacao Barry Or Noir Urban Leaf 69,8% e Cacao Barry Alunga 41%, con base croccante preparata con Praliné 55% Noisettes Piémont, Alunga e polvere di semi di guaranà. Speciale anche lo snack: confezione in gusci di cacao biodegradabile con all’interno un dolce a base di spuma al cioccolato e yuzu abbinata a un sablé con erba di grano, un croccante alla mandorla e tuille di cereali; in abbinamento, una bevanda fresca con polpa di guava, mango, curcuma e yuzu. E.B.

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Barman d’albergo, fuga di talenti dall’Italia

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C’erano una volta i barman d’albergo e ci sono ancora. Sempre lì dietro il loro bancone a dispensare ottimi cocktail e a intrattenere la clientela, narrando storie, aneddoti, consigli e, a volte, dando lezione di stile e di bon ton. In giacca bianca, cravatta nera, sorriso suadente, rappresentano, da Jerry Thomas in poi, la quintessenza dell’ospitalità: un’arte in cui i professionisti italiani, in particolare, sono diventati maestri, tanto che dietro il banco degli alberghi di lusso di mezzo mondo c’è quasi sempre un nostro connazionale. Un lavoro, tuttavia, oscuro. O, sarebbe meglio dire, oscurato dalle mode e dai media che in questi ultimi anni hanno puntato i loro riflettori su altre professioni dell’ospitalità, certo altrettanto importanti, che progressivamente hanno occupato la ribalta. In primis, gli chef ma, per restare nel nostro ambito, potremmo aggiungere i mixologist, categoria che scatena, a corrente alternata, passioni viscerali o profonde antipatie. Se da un lato hanno avuto il merito di dare una scossa positiva a tutto il mondo del bar, iniettando massicce dosi di creatività e sano protagonismo, dall’altro, hanno decisamente spostato l’asse dell’attenzione della bar industry e dei consumatori in spazi alternativi a quello del bar d’albergo. Recentemente a riportare la palla al centro, ci ha pensato un gentleman molto conosciuto tra gli addetti ai lavori: un professionista della comunicazione che è stato l’anima di contest entrati nella storia della miscelazione moderna come Lady Drink. Parliamo di Danilo Bellucci, che, tre anni fa, si è inventato 110 & Lode, contest riservato ai professionisti del bere miscelato che lavorano nei grandi alberghi, dalle 5 stelle in su.

Savoir faire e cervello

Un progetto quasi nato in sordina che ha però ha suscitato immediatamente l’interesse degli addetti ai lavori perché andava esattamente a riempire una casella rimasta inspiegabilmente vuota. Non solo. L’instancabile Bellucci ha dato vita anche a uno speciale “albo d’oro” battezzato Order of Merit, creato sul modello di un’onoreficenza istituita nel 1902 da Edoardo VII, sovrano del Regno Unito come riconoscimento ai suoi sudditi per meriti speciali in diversi campi. In pratica, un premio alla carriera per i barman italiani che si sono distinti all’estero per attenzione, precisione, eleganza, savoir faire, ma anche intelligenza, cultura, duttilità, pazienza e classe. Tra i testimoni della nostra inchiesta ci sono proprio diversi “premiati” con l’Order of Merit all’ultima edizione di 110 & Lode, tenutasi lo scorso ottobre all’Excelsior Palace Hotel di Rapallo (Ge), insieme ai rappresentati delle principali organizzazioni professionali nazionali e internazionali di barman (presenti al contest in veste di giudici), formatori e concorrenti della competition come il vincitore della sfida Andrea Francardi, bar manager del Fonteverde Spa Resort di San Casciano dei Bagni (Si). Al di là delle diverse posizioni emerse, si possono individuare dei tratti comuni. Il primo è il ritorno del bar d’albergo a centro di attrazione permanente della galassia dell’ospitalità: nei cinque stelle, ma anche sempre di più nei quattro stelle, il bar ha riconquistato una dignità pari almeno a quella del ristorante. Anche in Italia si sta iniziando a capire che il bar può essere un vero e proprio motore di business tanto che le catene o le società di gestione sono oggi alla ricerca di professionisti con provata esperienza, capaci di far funzionare e mettere a reddito una “macchina” molto delicata e complessa.

Lusso e hotel industry

Una “macchina” dove l’asticella della qualità è destinata a salire nei prossimi anni. Non è un mistero che l’hotellerie di fascia alta abbia oggi un ruolo di locomotiva dell’offerta ricettiva tricolore. Un’offerta che ha visto a livello quantitativo un calo del numero di strutture di fascia bassa, a vantaggio di un aumento del numero di alberghi di categoria media, che costituiscono oggi la quota maggiore, e di quelli di categoria lusso, dove si è rilevata la crescita più significativa. Ed è proprio in quest’ultima fascia che si sono concentrati i maggiori investimenti da parte dei big spender della hotel industry. Secondo Scenari Immobiliari, l’anno scorso il mercato real estate alberghiero italiano, che include sia le compravendite, sia il valore degli immobili sottostanti ai nuovi contratti di locazione, avrebbe infatti raggiunto quota 2,75 miliardi di euro, crescendo del 14,6% rispetto al 2016: un ritmo superiore alle previsioni e che dovrebbe proseguire anche quest’anno. Tra l’altro, per la cronaca, il 2017 ha registrato, anche un aumento dei pernottamenti  pari al 5,9% nelle strutture ricettive ufficiali.  E si tratta di una crescita più marcata rispetto alla media (+ 5,1% secondo Eurostat) degli altri Paesi dell’Unione Europea. Uno scenario, dunque, che dovrebbe in teoria favorire l’affermarsi di professionalità di alto livello. Ma, come rivelano i nostri testimoni, le criticità sono molteplici e di non fscile soluzione. Almeno a breve termine. A  partire dai livelli di retribuzione spesso non adeguati all’expertise richiesto. Capita che una catena richieda al candidato di turno un lungo elenco di “skills”, dalla conoscenza di più lingue alla capacità di gestire staff ed emergenze, offrendo stipendi che superano di poco i 1.000 euro netti.   

Retribuzioni non adeguate

In Italia c’è la tassazione sul lavoro più alta d’Europa e questo certamente può restringere il raggio d’azione di un’impresa ma, in ogni caso, competenze e responsabilità vanno retribuite in modo adeguato come accade, o dovrebbe accadere,  in tutti i settori. Oltre alla “pressione fiscale”, i nostri devono spesso fare i conti anche con la “pressione sul lavoro” esercitata da responsabili più simili a ragionieri che a veri direttori d’albergo e che, in genere, guardano più al conto economico che alla soddisfazione del cliente.  Infine se la soddisfazione a livello retributivo è magra, non va meglio con la carriera. Talvolta le posizioni migliori sono occupate da professionisti di lungo corso e per i più giovani il cammino diventa subito tutto in salita. Risultato: molti decidono di emigrare e lavorare in altri Paesi.

Classifiche e talenti

A proposito di estero, dovrebbero far riflettere due dati. Primo, che ai primi 5 posti tra i 50 World’s Best Bar del 2018, ci sono solo bar d’albergo: il Dandelyan del Mondrian Hotel di Londra, The American Bar del Savoy di Londra, il Manhattan del Regent di Singapore, il Nomad del Nomad Hotel di New York e il Connaught Bar dell’omonimo hotel londinese. Secondo, che il personale di moltissimi dei top bar citati sono luoghi dove la “lingua di lavoro” è l’italiano. Qui operano alcuni dei nostri miglior professionisti, da Agostino Perrone a Pietro Collina, che sono diventati “icone” del bartending mondiale. Detto questo, l’iniziativa di 110&Lode risulta ancora più attuale: quasi una ricompensa nei confronti di una categoria apprezzata,  in fondo, più all’estero che a casa nostra.

Nella foto, il banco dell’American Bar del Savoy di Londra

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La bar industry che innova

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Anche quest’anno pioggia di premi per la bar industry che fa innovazione. Un Premio all’Innovazione che, anno dopo anno, guadagna attenzione e visibilità: nel 2018, infatti, sono stati ben 79 i prodotti finalisti. E all’Unicredit Pavilion di Milano, lo scorso 10 dicembre, sono stati finalmente svelati i prodotti vincitori del prestigioso riconoscimento ed ecco i loro nomi. Per la categoria alcolici, il primo premio è andato a Martini Fiero, aperitivo di Martini realizzato con una miscela di selezionati vini bianchi a cui sono stati aggiunte scorze di arance dolci e mandarini della Murcia (Spagna). A ritirare il premio Manuel Greco, advocacy manager di Bacardi-Martini.

I top five di ogni categoria

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    In quella dei superalcolici ha trionfato Jefferson Amaro Importante del Vecchio Magazzino Doganale. A ritirare il premio Ivano Trombino e Domenico Dragone. MeMento, base versatile per la preparazione di drink, si è invece classificato al primo posto nella categoria dei preparati per cocktail. A ritirare il premio, l’ideatore e ceo di MeMento Eugenio Muraro insieme al bartender Andrea Montagnana.

    Drink e foodservice

    Per la categoria bibite si è distinto Frapshake, innovativa linea di bevande fredde targata Natfood. A ritirare il premio Alessandra Caletti, responsabile marketing di Natfood con il bartender Charles Flamminio. Per la categoria caffè e bevande calde, la palma della vittoria è andata a Mermaid Latte di Foodness: bevanda “rosa” a base di estratti funzionali. A ritirare il premio Sabrina Negrini, responsabile controllo qualità dell’azienda emiliana. Unico Gelato Espresso si è guadagnato la vetta della categoria foodservice dolce. A ritirare il premio Fabrizio Maroni e Francesco Reali. Mentre per la categoria foodservice salato, si è imposto Il Grissino 1936 di San Carlo. A ritirare il premio il brand manager Marco Mangiarotti.

    Arredi, attrezzature e tecnologie

    Nella categoria attrezzature e tecnologie, ha vinto il Combi Wave Smart di Techfood: forno multiuso e multifunzione per cuocere e riscaldare alimenti. A ritirare il premio, Gabriele Iori, responsabile marketing e comunicazione di Techfood. Infine, per la categoria strumenti di servizio e arredi ha guadagnato la prima posizione il Secchiello Timber di Italesse. A ritirare il premio Massimo Barducci, amministratore delegato di Italesse. C.B.

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Barawards 2018, professionisti e locali sul podio

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Una partecipata e festosa serata di gala ha celebrato i vincitori di Barawards 2018, il premio che vuole valorizzare le eccellenze dell’ospitalità made in Italy, promosso da Bargiornale, Ristoranti, Dolcegiornale e WeBar. A fare da palcoscenico alla quarta edizione dell’evento con la regia artistica di Mauro Adami, lo scenografico Unicredit Pavilion ubicato nel cuore della Milano verticale. A premiare  Stefano Nincevich, giornalista di Bargiornale, insieme a Rossella De Stefano, direttore della testata.

Le top Ten dei locali

Le Top ten dei professionisti

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    La serata ha alternato momenti di intrattenimento con il contributo di un trio artistico d’eccezione formato dalla violinista Elena Cirillo, dalla dj Valentina Sartorio e dall’arpista Silvia Minardi a momenti di partecipazione durante le numerose premiazioni dei Barawards che hanno visto più di una cinquantina di professionisti dell’ospitalità italiana calcare il palco dell’Unicredit Pavilion per ritirare i loro riconoscimenti. Molti i volti noti presenti ai Barawards come i bartender Flavio Angiolillo, Filippo Sisti e Mario Farulla, gli chef Giancarlo Perbellini, Vito Mollica, Eugenio Boer e Lara Pasquarelli, i maestri pasticceri Alessandro Servida, Andrea Besuschio, Marco Pedron, Davide Comaschi e Federica Russo.

    Super ospiti in platea

    Tra i super ospiti in platea il campione Bruno Vanzan, il maestro del bartending italiano Dario Comini, l’organizzatore di eventi Danilo Bellucci e il “gustosofo” Michele Di Carlo. Qualificata e nutrita anche la presenza di esponenti del mondo del caffè come Andrea Antonelli, Fabio Dotti ed Elisa Urdich. Tra i protagonisti più applauditi anche i rappresentanti di note aziende della nostra bar industry che si sono classificate ai primi tre posti delle nove categorie previste dal Premio Innovazione dell’Anno. Evento nell’evento, la celebrazione dei primi quarant’anni di vita di Bargiornale con il taglio simbolico da parte di Ivo Nardella, editore della testata, di una torta con quaranta candeline. A chiudere in bellezza la serata, allo scoccare della mezzanotte,  i 12 professionisti bartender del nostro Drink Team al completo che hanno dato appuntamento ai Barawards 2019. C.B.

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Da Off il bancone è un palcoscenico

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Quella di Off è una scommessa: dar vita a un dinner club esclusivo in un quartiere di periferia di Roma, Casal Bertone. Un rione finora conosciuto solo per i centri commerciali, su cui gli imprenditori Matteo di Persio e Francesco Curcio hanno puntato, mettendo sul piatto un locale di grandi dimensioni (400 mq su 3 livelli), due barman di fama come Patrizio Boschetto (già Achilli al Dom) e Luca Devon Moroni (ex Acquolina e brand ambassador Molinari), e una coppia in cucina e nella vita, entrambi ex del ristorante stellato All’Oro, Adriano Magnoli, ex sous chef di Riccardo Di Giacinto e Antonella Mascolo, che nello stesso ristorante era la pastry chef.

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    Appena entrati, lo sguardo non può che posarsi sul bancone del bar, che domina il piano terra, dalle luci volutamente soffuse e un’atmosfera da lounge bar. Circa 25 i posti a sedere più una decina al banco: uno schema che si ripete anche nella zona ristorante. Il palco su cui si muovono Boschetto e Moroni è un bancone di marmo nero a specchio, che esalta il lavoro del mixologist grazie alla retroilluminazione progettata per rendere il bartender il protagonista assoluto della scena.

    Sake particolari e asian food

    In drink list, una decina di signature dagli echi giapponesi, in cui l’elemento orientale è spesso caratterizzato da etichette giapponesi non comuni, come particolari sake e shochu. Si gioca molto sul filone del food pairing e del cibo liquido, tanto che i drink vengono serviti con uno snack dal sapore orientale. Inoltre c’è un menù di distillati con oltre 200 etichette fra premium e superiori. Per quanto riguarda la zona ristorante, coordinata dal restaurant manager Paolo Carrara, basta scendere al livello inferiore del locale per entrare nel regno asian gourmet di Magnoli e Mascolo. I menù degustazione saranno da 50 e 70 euro. In alternativa, per chi sceglie un’esperienza giapponese a tutto tondo, basta sedersi al bancone del piano di sotto e osservare il sushi-man in azione. A.T.

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Mixologia e cucina in un club di ispirazione martiniana

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Metti un famoso club del centro storico, punto di riferimento per schiere di giovani per una serata in musica a Roma. Metti un nome importante, Martini, che oltre ad aver concesso il nome e il logo, fa da partner ufficiale, e mette a segno quindi la sua prima bandierina sulla Capitale. Metti un giovane chef promettente in cucina, Giulio Ancaiani, cresciuto alla scuola di Arcangelo Dandini ed ex di Passetto, mentre al bar c’è il mixologist Stefano Franzon.

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    Tutto questo è My Martini, il cui spazio attiguo è occupato dal già consolidato Sharivari, aperto sempre dall’imprenditore Fabrizio Martiradonna, titolare di entrambi i locali. E se lo Sharivari è aperto dalla mattina presto per le colazioni, a notte inoltrata per la discoteca, My Martini è operativo dall’ora dell’aperitivo all’after dinner nella zona lounge bar, passando per il momento principale, la cena gourmet, con prezzi fra i 40 e i 60 euro e un concept basato su ottime materie prime e metodi di cottura innovativi, per dar vita a una cucina con alcuni piatti d’ispirazione fusion. Tra i primi spicca, ad esempio, la Tartare di ricciola mediterranea con guacamole e lamponi e, tra i secondi, il Tonno panato con blend di sesamo tostato, carciofi alla romana e salsa teriyaki. Tra i dessert, non potevano poi mancare dolci griffati come il TiraMysù con Vermouth Martini o il Tortino mon cheri con Dry Martini e amarena.

    Atmosfera barocca e foto di David La Chapelle

    Sul lato beverage spiccano sia una carta dei vini importante, con un focus sugli champagne, che una selezione di cocktail e distillati non ordinari, scelti fra prodotti internazionali di nicchia. Una cinquantina i coperti, distribuiti fra le due eleganti sale dall’aspetto glamour, sulle cui pareti spiccano quadri realizzati da fotografie di David La Chapelle, noto per la sua attività nel campo della moda e in pubblicità, in cui si mescolano visioni oniriche e atmosfere barocche (foto di Matteo Bizzarri per Ciak si cucina). A.T.

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Peck apre nel cuore della nuova Milano

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Il glorioso Peck esce per la prima volta dal tracciato di via Spadari, delle 5 Vie e della Milano medievale per insediarsi nel cuore della Milano verticale, quella del CityLife Shopping District (il più grande distretto commerciale urbano d’Italia) sotto le le torri di Allianz, Generali e, presto, anche di PWC. «Il nuovo spazio – racconta Leone Marzotto, la cui famiglia ha rilevato il marchio nel 2013 dalla famiglia Stoppani e che dal 2016 ne è l’amministratore delegato – ha quattro anime: gastronomia, ristorante, enoteca e cocktail bar. E si tratta di un’apertura doppiamente storica: non solo è la prima volta che Peck apre a Milano fuori dal proprio quartiere, ma questo negozio è anche il primo dei nuovi Peck. La sfida è portare la nostra altissima idea di qualità, di servizio e la nostra passione a contatto con pubblici nuovi: con innovazioni destinate a durare nel tempo, e senza inseguire trend o mode passeggere».

  • Espandi

    È, dunque, probabile che presto vedremo l’apertura in città di nuove gastronomie fregiate con lo storico marchio fondato nel 1883. Intanto, il “prototipo” di Peck CityLife si presenta, dunque, ricco di occasioni di consumo: dal “mangiare in gastronomia” – i clienti potranno gustare i cibi seduti al bancone – al nuovo ristorante (50 coperti) aperto a pranzo e a cena con menu differenti. Le proposte variano moltissimo e, ovviamente, non mancano i must di Peck come l’insalata russa, il paté, il vitello tonnato, lo storione insieme ai classici della tradizione milanese come il risotto giallo con ossobuco e la cotoletta.

    Un cocktail bar dalle grandi ambizioni

    L’enoteca in comunicazione “fluida” con le altre aree del locale, mette in scena una collezione di vini e distillati disposti teatralmente su un’importante parete che espone una selezione di 150 etichette, italiane e francesi. Appassionati e curiosi potranno farsi consigliare dai due sommelier della casa sia per la mescita sul luogo, sia per l’acquisto di bottiglie da asporto. Lo spazio sarà anche teatro di incontri dove poter conoscere i produttori di alcune etichette pregiate e degustare annate importanti delle migliori cantine. Infine, forse la novità più eclatante del nuovo Peck: un vero e proprio cocktail bar con tanto di bottigliera (circa 150 etichette), drink list (11 signature cocktail, vini al calice e una ricca selezione di distillati) e uno staff dedicato capitanato da Riccardo Brotto (prezzo consumazione minimo aperitivo 12 euro). Quest’ultimo vanta un corposo curriculum di esperienze soprattutto all’estero (5 anni a Londra lavorando al Cahoots, alSushi Samba e al Crazy Bear e in Australia al Bolt Hole) e in Italia (al Pinch di Milano) e divide il banco con due aiuti barman, Lorenzo Burrone e Basma Najmi. «Abbiamo messo a punto dei cocktail che riflettono la storicità di Peck ma anche la sua contemporaneità  – sottolinea Brotto – come, ad esempio, Il Dandi, rivisitazione del Boulevardier a base di whisky giapponese Taketsuru, essenza di legno d’acero, Campari, zafferano, Barolo Chinato e Sangue Morlacco, o lo Spadaiquiri, gioco di parole  tra Daiquiri e Via Spadari dove sorge il il negozio Peck sin dal 1883, a base di rum agricole, Dom Benedictine, limone e zafferano. Sarà una bella sfida in quanto a differenza delle altre aree, quella del cocktail bar è una proposta assolutamente inedita per Peck, ma abbiamo numerose iniziative in programma per diventare presto un polo d’attrazione per tutto il quartiere di CityLife».

    Design elegante ed essenziale

    Il progetto è stato affidato allo Studio Vudafieri-Saverino Partners che per il design degli interni ha reso omaggio alla Milano del dopoguerra, della ricostruzione, del miracolo economico, della grande operosità e progettualità meneghina: il pavimento richiama la pietra milanese storica, il ceppo di Gré delle cave del Lago d’Iseo. Il controsoffitto del ristorante, a losanghe di legno, cita Villa Necchi Campiglio di Portaluppi, così come i montanti che reggono le mensole rievocano la Torre Velasca di BBPR. Per le sedute invece è stato scelto Gio Ponti (foto courtesy Peck). C.B.

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A Genova l’antico mercato si trasforma in piazza del gusto

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È stato inaugurato lo scorso 7 maggio, esattamente a 120 anni dall’apertura del Mercato Orientale di Genova (avvenuta nel lontano 7 maggio 1899). È il MOGlo spazio polifunzionale dall’anima street food che vuole trasformare uno spazio storico della spesa quotidiana genovese – con i suoi 150 banchi – in un luogo da vivere tutto il giorno (dalle 10 alle 24), anche grazie a un ricco palinsesto di eventi. Il piano rialzato del MOG è una piazza del gusto di 2.000 metri quadrati, dall’architettura suggestiva: l’ampio colonnato quadrato è illuminato dalle cupole in cristallo che inondano di luce tutta la struttura.

  • “Altro…”

    Qui trovano spazio 11 corner gastronomici che guardano allo street food della tradizione (ma non solo), un ristorante guidato dal giovanissimo Daniele Rebosio, “strappato” dal ristorante del pluristellato Alain Ducasse al secondo piano della tour Eiffel di Parigi,ma anche spazi per la didattica, con una scuola di cucina e una di panificazione. Al centro di tutto, il bar, attorniato da 270 posti a sedere. Tra gli stand gastronomici, icone di Genova come il pesto e la focaccia, ma anche carne, pesce, pizza al padellino, pasta fresca, tacos, gelati, un’enoteca (con i dispenser Wineemotion per i vini a bicchiere), una paninoteca gourmet con specialità liguri (firmata dallo chef stellato Ivano Ricchebono). Le ambizioni sono alte: diventare un vero polo enogastronomico e culturale per la città (ma non solo), nel solco dei grandi mercati europei storici come la Bouqueria di Barcellona, il Markthal di Rotterdam, il Covent Garden di Londra o, per restare in Italia, il Mercato Centrale di Firenze. Infine, tra i punti forti del MOG spicca anche l’aspetto green ed ecologico dei materiali compostabili utilizzati all’interno del mercato. Il Comune realizzerà all’interno del mercato uno sportello di informazione e accoglienza turistica, con cornici digitali che mostreranno foto dei principali siti turistici della città e saranno previste anche visite guidate al mercato, sia nella parte superiore sia inferiore. A.R.

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Destinazione Puglia per la Gin Mare Experience

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Quest’anno Med Transfers, piattaforma globale creata da Gin Mare per diffondere, attraverso un vero e proprio viaggio, l’anima gastronomica del distillato, è sbarcata in Puglia (13-14 giugno). Una spedizione costituita da giornalisti, influencer e blogger (alla quale ha preso parte anche Bargiornale) partita da Milano con destinazione Masseria Potenti nelle campagne di Manduria (Ta). Un luogo incantevole che affonda le sue radici in un terreno colmo di storia e di sapori e che è stato teatro di due masterclass decisamente in tema: “foraging ed erbe mediterranee” a cura dell’esperta Valeria Mosca di Wooding Lab e “olio di oliva: un viaggio fra tradizione, cucina e miscelazione” con Ezio Canetti, brand ambassador di Gin Mare, Savino Muraglia managing director di Frantoio Muraglia e Luciano Matera de Il Turacciolo di Andria. Un viaggio, quest’ultimo, accompagnato da cocktail studiati per esaltare le botaniche di Gin Mare e per celebrare in particolare l’oliva arbequina, l’ingrediente più distintivo del distillato. Clou della giornata, la cena “a quattro mani” studiata da Alessandro Sammarco, chef di Masseria Potenti, insieme a Ezio Canetti, brand ambassador di Gin Mare per rimarcare ancora una volta la versatilità di un prodotto che riesce a sposarsi molto bene anche in tavola, giocando per affinità o per contrasto. Così hanno fatto i due esperti, creando un menu con 4 portate, ognuna abbinata a un cocktail studiato per l’occasione. Un esempio? L’antipasto “purea di fave, alici marinate, gambero viola e puntarelle di cicoria” si è sposato a un beverino e rinfrescante “Red Sea” a base di Gin Mare, sciroppo di vaniglia, Tonica 1724, succo di limone, cubetti di peperone e rametti di timo.









Il giorno seguente la spedizione si è rimessa in viaggio in direzione nord, toccando il Lido Bambù, elegante beach bar in località Capitolo a sud di Monopoli, e il porto di Mola di Bari dove, a bordo di un peschereccio della Ittica De Giglio, si sono potuti sperimentare insieme a Daniel Cavuoto e a Tommaso Scamarcio, chef e bar manager di Hagakure, catena di ristoranti che sposano crudo pugliese e cucina giapponese, altri inediti abbinamenti a base di pesce crudo e signature drink firmati Gin Mare. «Med Transfers – spiega Valentina Rovera, brand manager di Gin Mare per Compagnia dei Caraibi (distributore esclusivo per l’Italia) – si svolge ogni anno nei Paesi europei che rappresentano i mercati più importanti per il nostro gin: oltre all’Italia, Germania, Regno Unito, Spagna e Olanda. L’obiettivo è soprattutto quello di fare condividere a opinion leader, appassionati e consumatori differenti experience che sposano gastronomia e miscelazione. Grazie al coinvolgimento di chef e bartender, sperimentiamo, dunque, inediti matrimoni di gusto combinando eccellenze del food a una mixability d’avanguardia. Il tutto “on the road” e cioè offrendo ai nostri ospiti anche un experience di viaggio, di socialità e di riscoperta, proprio come è avvenuto in Puglia. A settembre è previsto un secondo evento legato a Med Transfers rivolto esclusivamente ai consumatori che saranno protagonisti di una mini crociera in barca a vela tra Napoli, Procida e Ischia. Saranno tre giorni dedicati ai valori del brand e caratterizzati da esperienze in ristoranti fine dining, cucina locale e prodotti tipici senza mai dimenticare la mixologia e i luoghi più belli di quelle isole. Ai professionisti del bar dedicheremo invece, sempre entro l’anno, un format completamente nuovo battezzato Vantguard Talk. Vantguard è il nome dell’azienda proprietaria non solo di Gin Mare ma anche di altri noti marchi premium come Curado, Capucana, Ysabel Regina. Consisterà in una giornata di formazione dedicata non solo a conoscere meglio Gin Mare o la sua miscelazione, ma anche ad approfondire tematiche complementari e utili alla professione. Ad esempio, un workshop sul public speaking o una masterclass sulla conoscenza di alcune materie prime. Con questa iniziativa vogliamo offrire ai bartender l’opportunità di specializzarsi, di diventare dei professionisti a 360 gradi e di fare la differenza dietro al bancone» (foto di Tony Castrovilli).  

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Lezioni di Bourbon (e non solo) al Wild Turkey Campus

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Abili e arruolati. Sono i 15 bartender partecipanti alla seconda edizione italiana del Wild Turkey Campus, tenutasi lo scorso maggio a Primaluna, location rurale della Valsassina in provincia di Lecco, che dopo aver vissuto intensamente una “tre giorni” divisa tra masterclass, tiro al bersaglio sportivo e cocktail lab sono entrati ufficialmente a far parte della family di Wild Turkey (aggiungendosi ai 18 della prima edizione).  Il “fare community”, leit motiv di queste nuova esperienza formativa firmata Campari Academy, si è rivelato ancora una volta il giusto “cemento” per creare professionisti appassionati al brand in grado di trasmettere a colleghi e consumatori i valori di un distillato ricco di storia come è Wild Turkey.

  • “Altro…”

    «Questa seconda edizione è stata ulteriormente migliorata rispetto alla prima che era articolata in soli due giorni – spiega a WeBar Luca Casale, brand ambassador di Wild Turkey e trainer per Campari Academy -. Si è, infatti, trattato di una “tre giorni” full time che ha fatto vivere ai nostri ragazzi l’avventura dell’America wild con un palinsesto di attività didattiche mescolate insieme ad attività ludiche. Un blend perfetto tra formazione, il clou è stata la masterclass di Eddie Russell, master distiller di Wild Turkey, sul mondo del Bourbon, ed experience che hanno toccato diversi temi: dall’accademia di barbecue, dove i nostri professionisti hanno potuto apprendere i segreti di una cottura in perfetto stile States a una session di tiro sportivo fino a un’attività guidata di foraging nel territorio con l’obiettivo di trovare il perfect match con un cocktail a base di Wild Turkey». Non sono mancati  workshop dedicati più in particolare alle tecniche di miscelazione. «Abbiamo creato un vero proprio cocktail lab – aggiunge Casale – con postazioni di lavoro per ognuno dei bartender del campus che hanno potuto dare sfogo alla propria creatività e sviluppare cocktail ispirati alle attività della “tre giorni” che sono stati valutati dal sottoscritto insieme ad Aldo Bruno Russo di Campari Academy, Andrea Dracos del MOR di Trieste e Antonio Parlapiano del The Jerry Thomas Speakeasy di Roma. In più, hanno dovuto presentare all’inizio del campus un drink “portato da casa” che rispecchiasse il mood di Wild Turkey». Il prossimo appuntamento per la Wild Turkey family è per il prossimo novembre quando i bartender protagonisti del campus si ritroveranno per celebrare la Festa del Ringraziamento. A Primaluna, c’eravamo anche noi di WeBar, in qualità di ospiti, e al termine della nostra visita prima di congedarci non potevamo non registrare una battuta di Eddie Russell, figlio del mitico Jimmy Russell, oggi coinvolto in tutto il processo di distillazione e di invecchiamento del Wild Turkey Bourbon: «Il campus non è solo un’esperienza formativa. Certo la conoscenza del prodotto è basilare affinché i nostri bartender diventino essi stessi i primi portavoce e ambasciatori della filosofia Wild Turkey nel mondo. Ma il campus è molto di più di un educational: è un momento di socializzazione, di condivisione di esperienze, di scambio di contatti, conoscenze e ricette. Un’opportunità professionale unica per consolidare i legami di quella che è, di fatto, un’autentica family». C.B.

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Da Tr3nd ritornano gli anni Novanta

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Per i nostalgici degli anni Novanta, il bengodi si cela sotto i portici di piazza Vittorio Veneto (al 19), a Torino. Perché qui, lo scorso maggio, ha aperto Tr3nd, bar completamente ambientato nel decennio segnato da vhs e floppy disk, Sega Master System e Reebok Pump. Dietro al progetto ci sono Salvatore Romano e Gigi Iula (del BARZ8) ed Emiliano Infascelli (del KM 5). Aperto tutte le sere dell’anno, dalle 18 alle 3, Tr3nd è un localeche permette di viaggiare nel tempo. Basta un passo per essere inghiottiti nel passato. I pilastri dell’esperienza sono l’emotività – ossia il gioco dei ricordi – e la continua interazione. Dal gratta e vinci con cui si viene accolti (col quale vincere consumazioni premio in altri locali gestiti dai titolari), ai gettoni che accompagnano le consumazioni e che permettono di giocare ai videogames. Alla fine, infatti, tutto sfocia nel gaming e nel puro intrattenimento.

  • “Altro…”

    Il menu è caratterizzato da 15 cocktail (prezzo medio 10 euro), ideati da Salvatore Romano, che cambieranno ogni tre mesi, nel segno della stagionalità di frutta, verdura, erbe aromatiche. Nel bicchiere, i grandi classici sono rivisitati con fantasia. Come il Boombastic (blend di rum giamaicani, Orange Curacao, mix di agrumi, zucchero al pistacchio e mandorla, succo di mela verde ed estratto di carota), servito in una cover di jeans Levi’s (a ricordare una celebre pubblicità). O il Toad (vermouth Rubino Martini, Bitter Martini Riserva, infuso ai funghi, cordiale di santoreggia Apojuice), che richiama nel nome il funghetto di Super Mario Bros. In accompagnamento, tapas, piccoli panini e pinchos. Il successo è stato immediato e la formula è stata apprezzata soprattutto da un pubblico “adulto” (il target è in genere dai 35 anni in su). Anche perché l’esperienza negli anni ’90 non durerà per sempre. Nel 2021 infatti ci si tufferà negli anni ’50 e nel 2022 nel futuro, e così via. Come una vera macchina del tempo. A.R.

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I millennials italiani allo specchio

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Cosa pensano i cosiddetti millenials? E, cioè, coloro che sono nati negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso scorso. Non è una domanda retorica. Chi sta dietro a un banco deve imparare a conoscere i propri clienti: non solo i loro i gusti, ma anche i loro profili psicologici. Anche perché parliamo di una popolazione di circa 13 milioni di persone, grandi utilizzatori di Internet e dei social (76% del totale), che sta segnando di passaggio alla società digitale. A questo proposito a farne un identikit ci ha pensato Grey Goose, premium vodka di Bacardi – Martini, insieme all’istituto di ricerca milanese Trade Lab che ha effettuato un sondaggio su più di 800 italiani dai 20 ai 35 anni. L’obiettivo era sondare il loro approccio al “live victoriusly”, ovvero a vivere in maniera vittoriosa ogni piccola e grande conquista della vita, celebrando i piccoli successi quotidiani. Ebbene, se per 1 millennial su 2 (54%) la carriera è l’obiettivo numero 1, solo il 25% si sente pienamente realizzato. Soddisfatti invece in amore (39%), anche se in questo campo è soprattutto la donna a volere, come obiettivo a lungo termine, mettere su famiglia (68%). Per entrambi però quello a cui non rinunciano è dedicare tempo a se stessi (54%) per la propria cura o per rilassarsi con famiglia e amici. E se si chiede se si sentono “leone” o “gazzella”, 6 su 10 ammettono di non sentirsi pienamente appagati e di avere difficoltà a vivere in maniera vittoriosa la propria vita. Per quasi 3 su 10 l’esempio da seguire rimangono i propri genitori, anche se nel mondo dello sport e del sociale non mancano i modelli di coloro che ce l’hanno fatta a vincere contro le avversità: tra tutti spiccano Bebe Vio (24%), Alex Zanardi (19%) e Nelson Mandela (13%). 

  • “Altro…”

    Una generazione di “lottatori”

    I millennials, concludono i ricercatori di Trade Lab, appaiono comunque come una generazione capace di vivere in maniera equilibrata: se è vero che solo 4 su 10 si considerano “vincenti” a pieno titolo, 8 su 10 non smettono di credere in loro stessi e nelle loro possibilità, tanto da compiacersi quando raggiungono un piccolo grande successo quotidiano: che si tratti di un esame universitario brillantemente superato (14%), o di un complimento del proprio capo (42%), oppure superare una propria paura o un limite (45%). Sono queste le vittorie che vengono celebrate con amici (48%) o in compagnia della propria metà (46%). In che modo? Con un aperitivo (35%), rito sociale tipico di questa generazione, oppure con un regalo per sé (46%).  Tutto serve come stimolo a fare sempre meglio (37%) e come iniezione di autostima (27%). “Live victoriously” è anche il nuovo concept di marca di Grey Goose alla cui base c’è l’dea di dare una risposta ai consumatori che ricercano marchi di lusso autentici con i quali relazionarsi. Tenendo presente che la realizzazione personale, infatti, non si ottiene semplicemente impressionando gli altri, ma celebrando i momenti che contano, grandi e piccoli che siano. Sempre sotto il segno di “live victoriously” è nata una drink list con 8 cocktail d’autore (4 firmati da Alex Frezza e 4 da Mario Farulla) che da luglio fino al 20 gennaio 2020 saranno presenti in cocktail bar selezionati di Lombardia, Lazio, Romagna, Versilia e Veneto nel corso di serate dedicate alla premium vodka. Last but not least e sempre sotto il cappello di “live victoriously”, Grey Goose ha avviato una serie di podcast dedicati ai protagonisti della mixology italiana. Un format innovativo partito dall’Octavius Bar at The Stage di Milano, prima tappa del tour di Grey Goose, con il podcast di Rachele Giglioni, brand ambassador della premium vodka del gruppo Bacardi Martini, al “padrone di casa” dell’Octavius Bar, Francesco Cione. C.B.

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Torino, capitale (per un giorno) dello spirito tiki

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Il nuovo trend della mixology italiana? Parla tiki. Lo dimostrano nuove illustri aperture, ma anche la prima edizione del Tiki Cocktail Contest, che si è svolto lo scorso 16 luglio sulla Terrazza della Nuvola Lavazza di Torino. 10 bartender si sono sfidati nella ricerca del cocktail tiki perfetto, sperimentando i confini dei prodotti di Rinaldi 1957, partner dell’evento: dai rhum agricole della Martinica La Mauny e Trois Rivières al Don Papa filippino, all’indonesiano Naga, fino al nuovo Batida Com Rum e alla classica Batida de Coco. Al termine della sarata, una giuria tecnica e il pubblico presente hanno decretato il team vincente. È stato quello del Nat Cocktail House di Torino, locale di Piazza Vittorio capitanato dai barman Patrick Piazza, Michael Faccenda ed Emanuele Russo.

  • “Altro…”

    A completare il team, anche Davide Cacciolatto, Giusi Fiorenza, Simone Minniti e Francesca Braga. Con il Menehunes Tai (4.5 cl Don Papa, 1.5 cl Trois Rivières, 2 cl lime, 3 cl vermouth infuso all’ananas e mandorle dolci e amare), azzeccata rivisitazione del Mai Tai, e con l’Hula Girl Island (6 cl Don Papa, 6 cl acqua di cocco, 3 cl lime, 4 cl sciroppo di brandy alla coca cola e noce di burro), drink ispirato alla cultura di Trader Vic e del famosissimo Fog Cutter, hanno sbaragliato una concorrenza di altissimo livello. «È stata una bellissima serata, in una location straordinaria – racconta Gabriele Rondani, direttore marketing e PR di Rinaldi 1957 -. Come sempre l’organizzazione di To Be Events è stata perfetta e ha portato un pubblico numeroso, giovane e attento. Ottima la qualità dei cocktail, che hanno fatto uscire l’anima del distillato e si sono distinti per estetica delle presentazioni ed equilibrio dei sapori». Ma non è stata una competizione semplice. Piuttosto una vera e propria drink experience – totalmente plastic free – in cui i cocktail tiki hanno avuto l’accompagnamento di una selezione di piatti ispirati a ricette esotiche e creati da Luca Andrè, chef e patron di Soul Kitchen, Yari Sità del nuovo Taperia y Cocina e gli chef di Pacifik Poke, cucina hawaiana (foto: Paolo Formica). A.R.

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A Castellammare il nuovo lab dell’alchimista Scamardella

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Da sempre, nella storia partenopea, Castellammare di Stabia (Na) ha rappresentato il ponte con quello che accadeva nel mondo. Meta turistica dei Grand Tour di inizio Novecento, in passato è stata sede di diversi grandi alberghi. Un ruolo di avanguardia che, da poche settimane, riveste anche nel bartending con Piazza Vanvitelli. Un’insegna che, nelle intenzioni del patron Antonio Cuomo, nasce da un concept molto particolare e meridionale allo stesso tempo. Una filosofia ben precisa, espressa nei suoi pergolati, nel vasto spazio centrale, nei piccoli porticati che ospitano il lato caffetteria e, più in alto, il tapas resturant (11 le scelte salate, due le dolci). Ma la sorpresa nella sorpresa è il nuovo Experimental Bar di Piazza Vanvitelli, curato da uno dei nomi più in vista della mixology nostrana: Salvatore Scamardella, professionista di origini napoletane e vincitore dell’edizione italiana di World Class 2019.

  • “Altro…”

    All’Experimental Bar l’impronta di Scamardella c’è e si fa sentire. Più che un luogo dove bere, si ha l’impressione di stare in un laboratorio: di fronte a noi, osserviamo Rotovapor, estrattori di ogni sorta e un abbattitore posizionato sotto il vasto bottigliere. A lato, notiamo perfino un piccolo distillatore. Sono gli strumenti fondamentali della miscelazione di Scamardella, basata su preparazioni e ricostruzioni di materie prime, distillati e cocktail, rielaborati per dare forma a miscele uniche, quanto spiazzanti. La missione è quella di scompaginare le convenzioni, partendo da una piccola realtà del meridione, introducendo nuovi gusti e nuove sfumature di sapore. Non è un caso, se la prima drink list del nuovo corso (15 i cocktail in menu, prezzo 12 euro) sia ispirata a diversi nomi della cucina contemporanea: dall’immancabile Massimo Bottura passando per Will Goldfarb fino a Olivero Enrique. Una direzione, dunque, nel segno dell’avanguardia, per il banco bar di Piazza Vanvitelli, che arriva anche dalle decorazioni super elaborate, dai tanti bicchieri di design e dalle mug personalizzate. Tra tutti i drink, spicca l’Alex Atala: miscela di Scotch whisky lavato con olio di arachidi, liquore alla rucola e country wine di papaya. Il tutto sovrastato da una spuma di yogurt e formiche alimentari e servite in una mug gigantesca con la forma dell’insetto operaio per eccellenza. G.C.

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Lucia Montanelli conquista la Beluga Signature

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Anche quest’anno la finalissima globale di Beluga Signature, prestigiosa cocktail competition dedicata all’omonima vodka russa super premium (distribuita dal Gruppo Montenegro), si colora di verde, bianco e rosso. Il trofeo è infatti andato meritatamente a Lucia Montanelli head bartender del The Bar at The Dorchester di Londra in rappresentanza del Regno Unito (l’anno scorso a vincere fu Alessandro Venturi in rappresentanza dell’Italia). Il suo cocktail, Beluga Dreamer Awake, ispirato all’arte surrealista e a base di Beluga Allure, Afternoon Tea Liquor, tintura di erba e Fake Apricot Vinegar, ha convinto la super giuria formata per l’occasione da Philip Duff, anima e coordinatore del Beluga Signature Bartender Program, Nico de Soto, leggenda della miscelazione contemporanea, e Giacomo Giannotti, bar manager del mitico Paradiso di Barcellona. Al secondo e al terzo posto della finalissima, svoltasi nell’elegante cornice del Four Seasons Hotel di Mosca, si sono piazzati rispettivamente Maxim Gladyshkevich del Friends Cocktail Bar di Novosibirsk (Russia) e Yann Lautredou de Le Tsuba Hotel di Parigi (Francia). Purtroppo, nulla da fare per il nostro Mattia Cilia, che si è comunque difeso con onore. Quest’anno la gara ha visto in competizione i rappresentanti di 7 Paesi (Regno Unito, Francia, Italia, Russia, Germania, India e Spagna) e, come tradizione, il meccanismo della finale ha previsto un tema al quale ispirarsi per il cocktail da presentare alla giuria della finale. Quest’anno il tema proposto è stata l’arte o meglio le correnti artistiche come il Surrealismo, la Pop Art, l’Art Déco ecc.: una suggestione che i concorrenti hanno dovuto “tradurre” in formato cocktail. Una mission certo non facile e che qualifica Beluga Signature come una delle cocktail competition più impegnative del panorama mondiale. Infine, il successo di Lucia Montanelli conferma ancora una volta la professionalità delle barlady e dei bartender italiani: bravi dietro al banco bar, ma soprattutto straordinari quando c’è aria di sfida.

 

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